Vivere insieme: un sogno o un’opportunità?

di d. Massimo Goni

 

“Quanto è buono e dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal. 133,1). Questo versetto ce leggiamo nel breviario, rischi di rimanere come un bel testo poetico o un sogno atteso…. nella parusia! Chiediamoci invece: lo prendiamo sul serio, come un invito importante per la nostra vita di uomini e ministri del Signore Gesù?

 

Il Direttorio ai nn. 28-29 afferma: “La capacità di coltivare e vivere mature e profonde amicizie sacerdotali si rivela fonte di serenità e di gioia nell’esercizio del ministero, sostegno decisivo nelle difficoltà e aiuto prezioso per l’incremento della carità pastorale, che il presbitero deve esercitare in modo particolare proprio verso quei confratelli n difficoltà che hanno bisogno di comprensione, aiuto e sostegno…

 

Una manifestazione di questa comunione è anche la vita comune (…). Tra le diverse forme di essa (casa comune, comunità di mensa, ecc.) si deve ritenere come sovraeminente il partecipare comunitariamente alla preghiera liturgica. Le diverse modalità devono essere favorite secondo le possibilità e le convenienze pratiche, senza necessariamente ricalcare lodevoli modelli propri della vita religiosa. In modo particolare sono da lodare quelle associazioni che favoriscono la fraternità sacerdotale”.

 

Ci sono, grazie a Dio, anche diverse esperienze in atto (e sarebbe belo conoscerle meglio). Ci sono preti che si trovano ogni lunedì mattina per preparare l’omelia domenicale. Quindi meditano, pregano e condividono insieme la Parola. Ci sono gruppi di preti che partecipano insieme agli esercizi spirituali o a ritiri e convegni di aggiornamento. Alcuni celebrano l’Eucaristia nell’anniversario della loro ordinazione.

 

Ci sono poi i ritrovi periodici di classe di seminario o di gruppi di amici che fanno alcuni giorni di vacanza insieme, in luoghi belli e rilassanti. La tavola è sempre un punto di aggregazione e di dialogo, per cui, per molti è un momento fisso di ritrovarsi. Stanno crescendo le “mense comunitarie” che non sono tanto un ritrovo occasionale, ma l’organizzazione comune permanete del pranzo e della cena, tra un gruppo di preti, vissuto anche come momento di accoglienza, ascolto reciproco, organizzazione pastorale, sfogo delle delusioni, allegria.

 

Le forme di coabitazione presbiterali con una vera e propria regola di vita comune e condivisione del ministero, appaiono un po’ in difficoltà. Dopo momenti di entusiasmo si è passati oggi a percepire la fatica di trovare modelli adatti al presbitero diocesano. Ma non mancano ancora tentativi (tutti da conoscere). Forse là dove permane un profilo di maggiore ‘autonomia’ del singolo presbitero è possibile realizzare anche ‘canoniche comuni’ con momenti di vita e di preghiera insieme.

 

Ascoltando la riflessione di un vescovo saggio emergeva che spesso l’applicazione di queste buone indicazioni dipende da un po’ di buona volontà. Si chiede di cambiare qualche propria abitudine consolidata e qualche comodità e di riorganizzarsi in base alle esigenze dei singoli. Ciò, a qualcuno, appare un problema insormontabile. Ma non sarebbe molto maggiore il beneficio di poter vivere la fraternità tra presbiteri?