Una vita spesa per la Chiesa: è morto a Sarmeola don Giuseppe Zanon il 28 ottobre 2018Don Giuseppe Zanon
Una vita donata alla Chiesa
Il ricordo della Chiesa di Padova
Don Giuseppe, come infinite altre volte, potrebbe esordire dicendo: «Siamo qui a motivo dell’Incarnazione, iniziamo perciò con un atto di fede, perché il Figlio di Dio si è fatto uomo». E sia davvero un atto di fede quello che pronunciamo assieme, tracciando in modo fin troppo sintetico i contorni di una vita piena, feconda e appassionata quale fu quella di don Giuseppe, il cui profilo racconta di una personale incarnazione che ha attraversato la vita di molti con generosità e umiltà.
Don Giuseppe nasce a Pernumia il 19 marzo 1939 e cresce alla scuola del Servo di Dio don Lucio Ferrazzi. Primo di otto, tra fratelli e sorelle, rimane privo del padre Luigi in giovane età, divenendo punto di riferimento stabile per tutta la famiglia, a fianco di mamma Filomena, della quale ammirava la forza d’animo. Ordinato prete il 7 luglio 1963, in una storica classe che contava ben 36 preti, nell’agosto successivo viene nominato vice-rettore nel Seminario Minore per il Ginnasio e nel 1969 assistente nei corsi teologici del Seminario Maggiore. Nell’ottobre del 1970 diventa assistente al Convitto ecclesiastico, dove cominciano a prendere forma le prime esperienze formative per i preti novelli. Nel 1973 è collaboratore dell’Ufficio catechistico diocesano, mentre nel 1977 è Assistente nazionale dei Giovani di Azione Cattolica. Nel 1980 inizia l’insegnamento della liturgia in Seminario Maggiore, divenendo, allo stesso tempo, Assistente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica.
Con l’estate del 1983 inizia l’incarico di presidente della Commissione diocesana per la formazione permanente del Clero, cui si aggiunge, dall’autunno 1990 e fino al 1999, quello di Rettore del Seminario Maggiore e di Delegato per il diaconato permanente (1991-1999). È del 1993 l’intuizione e l’apertura della Comunità propedeutica del Seminario, Casa S. Andrea. Nel 1997 don Giuseppe si adopera in modo convinto per la celebrazione dei 300 anni dalla morte del Vescovo Gregorio Barbarigo, con una serie di iniziative che portano migliaia di persone a varcare le porte del Seminario Maggiore. Nel contesto di questo profilo sembrano un vestito fatto su misura le parole dello stesso Barbarigo: «Andrò sempre, cento e mille volte al giorno domandando a Dio: franchezza di cuore e generosa confidenza». Conclusa l’esperienza del Seminario, don Giuseppe diventa Delegato vescovile per il clero (fino all’estate 2016) ed è in questa veste che nel 2003 viene nominato anche direttore del nuovo Istituto San Luca per la formazione permanente dei presbiteri, fino al giugno 2012.
Canonico Onorario della Cattedrale dal novembre 1988, è stato a più riprese membro del Consiglio presbiterale, del Collegio dei Consultori, dell’Ufficio di coordinamento pastorale, come anche della Commissione presbiterale regionale. Numerose sono le collaborazioni festive con le parrocchie, alcune più strutturate (come Codiverno, Polverara e Tribano, negli anni 1985-1990), altre più occasionali. Molteplici sono i luoghi che hanno beneficiato della sua presenza puntuale, brillante e convinta: Istituti religiosi (come le Ancelle del Signore o le Elisabettine), il carcere di Padova, la rivista Presbyteri, la Commissione regionale per i seminari, l’offerta di Esercizi spirituali (un prossimo appuntamento era in calendario con i preti giovani di Brescia), solo per ricordare alcuni ambiti di servizio. Verrebbe da dire che non ci sono angoli della Chiesa di Padova che don Giuseppe non abbia visitato e abitato, con la curiosità e la franchezza che gli vengono riconosciute. Una intelligenza vivida ed una fede umana, oltre che essenziale, unite a spirito di consolazione e di incoraggiamento. gli hanno permesso di essere un prete creativo proprio sugli aspetti più delicati e urgenti della vita ecclesiale.
Nell’ultimo anno era stato nominato membro dell’équipe per i preti anziani e assistente spirituale dei sacerdoti ospiti all’Opera della Provvidenza di Sarmeola. Qui la morte lo ha colto all’alba di domenica 28 ottobre, dopo una veloce malattia vissuta senza pretese e senza illusioni, con senso di affidamento sereno e di abbandono consapevole.
Senza nulla togliere alla cura del laicato, maturata in significative esperienze associative e nella frequentazione di gruppi, associazioni, famiglie e singoli, sicuramente la figura di don Giuseppe è in gran parte legata all’opera di accompagnamento dei seminaristi e dei preti, questi ultimi seguiti con la visita assidua, con la determinazione e con il cuore, con quella «combattiva tenerezza» (Evangelii gaudium 88) che lo portò proprio ad «innamorarsi dei preti», immaginando per loro tempi, contenuti e modalità formative, fino a giungere a quel laboratorio particolare che fu l’Istituto San Luca, in continuo ascolto di quanto andava nascendo nelle Chiese del Nord est e attraverso un’ampia rete di relazioni, di scambi e di iniziative che avrebbero poi fatto scuola dal basso, prima di ottenere un risalto molto più ampio. Tante delle collaborazioni regionali e nazionali sono nate proprio attorno al tema della formazione permanente dei presbiteri, come si è potuto vedere anche in occasione dei lavori della 67a (2014) e della 69a (2016) Assemblea Generale della CEI.
Sicuramente tantissime persone conservano un ricordo, una parola o un pensiero di don Giuseppe, ricordandone l’arguzia, la genialità, l’ironia, ma anche la capacità di ascolto non giudicante e l’intuitività. I preti si sentono più orfani e sperimentano il venir meno di una paternità verso la quale non possono che esprimere gratitudine. E se talora il trascorrere dei giorni mostra la precarietà del nostro ministero, l’imprevedibile fecondità della santità rimane sempre il volto bello della Chiesa: la Chiesa di Padova gioisce, allora, per il ministero di don Giuseppe e di tanti altri preti che, in modi visibili o meno, rendono più gradevole il suo volto.
Don Giuseppe ha voluto che la sua immagine ricordo portasse le parole del salmo 23: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla». “Pastore buono” è forse il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso, ma noi crediamo pure che il Pastore buono «restituisce la vita» (traduzione Ravasi) e unge di olio il nostro capo.